Esercizio di statistiche e previsioni sulla deriva da idrocarburi in
Abruzzo. 29.07.2013.
Quadro Produttivo Attuale.
L’estrazione di gas dalla terraferma
abruzzese è passata gradualmente da 92 915 430 mcs del 2004 a 41 976 336 mcs
del 2012: prima della concessione Colle S. Giovanni ( 18 631 230 mcs nel 2012,
con un solo pozzo in Colle Sciarra) era tuttavia precipitata a 24 111 247 mcs
del 2011 e a 24 091 339 del 2010.
I dati da mare e terra italiani dicono 12
920 948 679 mcs nel 2004 e 8 510 525 374 nel 2012.
Oltre quello di Colle S. Giovanni, il
contributo di ciascuna concessione all’estrazione di gas è stato il seguente:
Filetto: nel 2012, 7 834 919 mcs con un solo pozzo, a
Ovindoli (5 266 994 nel 2007)
San Mauro 2 501 397 mcs con un solo
pozzo (7 124 539 nel
2004)
Cellino 13 008 790 mcs con 12
pozzi (24 763
889 nel 2004)
Le altre 6 concessioni vigenti non hanno
apportato nessun contributo ( 4 sono “morte”): fra loro, Aglavizza è appena
partita e Miglianico, chi sa perché, è ferma dal 2004. Osservazione: le
concessioni Filetto e Colle S. Giovanni possono anche restare stabili, mentre
S. Mauro e Cellino tendono a dimezzare l’estrazione ogni 8 anni.
Il contributo di ciascuna delle 6 (su 7)
concessioni nel mare abruzzese all’estrazione di gas è stato il seguente:
2004 2012
B C1 LF mcs 10 976 958 317 058
B C5 AS 7 849 670 5 213 947
B C3 AS 216 509 727 26 625 622
B C9 AS 1 628 090 1 186 814
B C10 AS 393 315 151 169 448 209
B C15 AV 2 991 412 201 684
Osservazione: soltanto B C5 AS e
B C9 AS possono ritenersi ancora stabili, le altre stanno rapidamente morendo.
L’unico contributo all’estrazione di olio è
venuto, negli ultimi 8 anni, dalla concessione in mare B C8 LF Rospo Mare. Essa
è comunque passata da 262 984 000 kg del 2004 a 205 645 000 del 2011; nel 2012
è stata ferma 6 mesi per incidenti ed esaurimento di alcuni pozzi, rilasciando
solo 83 373 250 kg: degli incidenti non è stato detto niente! Nel 2013 ad oggi
ha lavorato solo 2 mesi (11 699 239 kg), conducendo, per mezzo della
piattaforma Saipem “Perro Negro” i lavori di riparazione di pozzi
“incidentati”. Comunque vada, la produzione, senza l’esecuzione di nuovi pozzi,
si ridurrà di un terzo subito e, pur con nuovi pozzi, si ridurrà a zero in 15
anni.
Crescita, Sviluppo, Ascesi
Mistica, Caduta Diabolica: deduzioni dalle statistiche.
L’insieme degli addetti all’estrazione,
che lavora sul territorio e nel mare abruzzesi fra tutte le concessioni,
ammonta a un centinaio di “unità”, di cui poco più della metà residenti in
Abruzzo. Tra i vari turni, ai pozzi di Rospo Mare stanno tuttora lavorando, in
forma transeunte, circa 200 “unità” su Perro Negro, di cui qualche decina d’abruzzesi
di passaggio. Negli ultimi 8 anni l’insieme delle concessioni non solo non ha
prodotto alcun nuovo posto di lavoro, ma ha più che dimezzato gli impieghi
iniziali. Tranne lo smaltimento dei rifiuti, quasi del tutto fuori norme
attuali, non esiste alcuna attività economica indotta dalle concessioni in
territorio abruzzese: le attività portuali, infatti, insieme con i trasporti e
con la distribuzione degli idrocarburi, dei sottoprodotti e dei rifiuti hanno
pochissimo a che fare con le concessioni in essere.
Le principali imprese internazionali, che
prestano servizi tecnologici alle attività di estrazione, pretrattamento e
convogliamento degli idrocarburi, hanno ciascuna una sede importante in Abruzzo
[Slumberger, Becker, Weatherford, Halliburton…] ove impiegano 800 addetti circa,
di cui abruzzesi più dell’80%. Del totale, mediamente il 25% è impiegato negli
uffici, nelle officine e nei magazzini di sede: il resto è, quotidianamente o
con diversa frequenza, inviato in trasferta o in missione, per più o meno metà
in altre regioni italiane (Romagna, Sicilia, Basilicata) e per l’altra metà
all’estero.
Ci sono altri 4000 abruzzesi circa che,
impiegati nel settore “upstream” o nell’indotto dei suoi servizi, sono
permanentemente fuori del paese in ogni parte del mondo: tra essi non sono
inclusi i lavoratori marittimi a bordo delle petroliere e di altri scafi né
quelli dei rifornimenti e dei bunkeraggi.
Tutti i numeri, indicati approssimativamente
con “circa”, erano parecchio più alti nel 2004 e sono continuamente decrescenti
: per un paio di decenni ancora, sotto condizioni inopinatamente favorevoli,
potrebbero però mantenersi stabili.
Sono vigenti in terraferma abruzzese 11
permessi di ricerca, che hanno in progetto, nei prossimi 6 anni almeno, la
perforazione di non più di 10 pozzi in tutto. A questi, se tutte le istanze per
permessi venissero accolte (9), potrebbero aggiungersi da 14 a 18 altri pozzi nello stesso lasso. Nell’arco della
durata dei permessi, cioè in 12+1 anni più sospensioni (circa nei prossimi 15
anni dunque) non possono essere messi in previsione più di 50 pozzi nuovi in
conto “permessi di ricerca”, nelle più favorevoli condizioni di approvazione e
consenso.
Nello stesso periodo (~ prossimi 15
anni) e nelle stesse condizioni (= tutte le istanze approvate), l’insieme delle
concessioni in terraferma non riuscirebbe a richiedere più di altri 8 pozzi.
Nello scenario più esageratamente ottimistico, quindi, potrebbero essere messi
in conto non più di 4 nuovi pozzi per anno, in terraferma, per tutto questo
primo quarto di secolo. Considerando che, attorno ad un pozzo, ruota circa un
centinaio di “unità”, fra annessi e connessi, per ~ 6 mesi, tutto quello che si
riuscirebbe ad ottenere è il ritorno a casa di ~ 200 degli abruzzesi sparsi
altrove, senza un solo posto di lavoro nuovo tranne il turn-over corrente. Niente
altro!
La ricerca in mare è affidata a 4 istanze
Petroceltic e a 5 permessi in vigore (4 Petroceltic) che, studi e progetti alla
mano, potrebbero comportare sì e no un altro nuovo pozzo l’anno nella rimanenza
di questo quarto di secolo. Quando approvate, le istanze di Coltivazione
potrebbero anche richiedere, nello stesso triplo lustro, fino a 10 nuovi pozzi,
mentre le concessioni già in essere, tra lusco e brusco, ne lavorerebbero
possibilmente altri 5 (grasso che cola!). In mare dunque, nel più eccelso
ottimismo chietin-confindustriale, giammai s’andrebbe oltre i 2 “nuovi pozzi”
l’anno, che riporterebbero forse a casa circa un altro centinaio d’abruzzesi
migranti. Niente altro!
Ipotizzando un’attendibile percentuale di
successo del 60% fra terra e mare abruzzesi, un pozzo per l’altro [così sembra
dire la storia], l’eccelso ottimismo chietin-conflittustriale tutt’al più avrebbe dunque 50 altri pozzi variamente
vomitanti per le prossime 2 generazioni, che andrebbero a sostituire i
“morenti”, oltre 60 produttivi, attuali. In un tale rapporto massimo di 5 a 6,
anche ipotizzando la stessa produttività media per pozzo, non c’è quindi verso
che la produzione possa collocarsi a più di ¾ di quella sofferta finora,
checché ne sognino appunto i chietin-conflittuali e i loro fantasiosi
consulenti dell’università aquilana. Nessuna crescita, nessuno sviluppo, nessun
mantenimento nemmeno!
Da tutti i dati di cui si dispone e da
quello che se ne può legittimamente (tecnicamente) dedurre, possiamo dunque
azzardare molto ragionevolmente la conclusione che, acconsentendo alle pretese
paradisiache dei petrolieri, possiamo tutt’al più sperare di riportare a casa
qualche centinaio di nostri migranti, i cui stipendi già sono comunque qua; ma,
non essendo il paradiso di questo mondo, anche tale miserabile speranza è
ridotta a nulla. E non si è neanche accennato all’ambiente, alla salute, alla
qualità della vita, ai danni agli altri settori economici, al depauperamento e
alla de valorizzazione del territorio, alla sicurezza da incidenti e disastri
etc. etc. etc., né si è dato sguardo alcuno ai contesti finanziari, di legalità
e di sicurezza nei quali i progetti di sfruttamento petrolifero prendono piede:
altro che paradiso petrolifero! Ben poco è più brutto di questo inferno: ci
vorrà però qualche prossima puntata per
parlarne. Sopravvivremo?